Dicono di lui
Sergio Marini ha lasciato la Presidenza della potente Coldiretti per dar vita ad un laboratorio di idee e di proposte, nel quale forgiare gli strumenti e gli orizzonti di un nuovo Paese, di una Italia che noi tentenni più rispetto alla costruzione del bene comune.
La proposta appare scandalosa: partire dall’agricoltura per rimodellare la nostra Repubblica orientando l’azione culturale, politica e sociale rispetto al valore della sostenibilità. Una proposta che parte dall’esperienza degli agricoltori che in questi anni di crisi è stata positiva. Una esperienza che ha dimostrato che modificando i modi di pensare consueti dell’economia, andando controtendenza, è possibile ottenere dei risultati importanti.
Parole come Europa, lavoro, cibo, filiera corta, biodiversità, export agroalimentare, made in Italy,innovazione, gioventù,cultura, potere, bellezza, paesaggio, ridisegno del territorio,comunità devono diventare progetti ed oggetti concreti di azioni che hanno come scopo la qualità della nostra vita e la sostenibilità delle nostre scelte. Da qui la decisione scandalosa di chiamare la sua proposta ITALIA SOSTENIBILE PER AZIONI. Usando l’acronimo SpA che più di tutti rappresenta la supremazia del capitale sul lavoro e su tutte le altre componenti materiali a partire dalle risorse naturali, sociali, culturali di una Società, Marini lancia una proposta che genera scandalo perché si attesta nel cuore delle contraddizioni del sistema con l’intenzione di modificarne la scala dei valori e delle regole. La aspettativa della sua azione è puntare al cambiamento sociale e politico per migliorare la nostra qualità della vita.
Dal punto di vista sociale il richiamo ad esperienze vere e la capacità di riflessione sulle stesse lega la proposta alla teoria della prassi in una visione di realismo critico della Società. Dal punto di vista politico ipotizza un disegno nuovo di rapporto tra comunità e territorio, che si radica nella tradizione di Adriano Olivetti ma facendola evolvere e sicuramente evitandone gli errori. La partenza dal territorio e dall’agricoltura non è ideologica ma politica perché indica nel ridisegno del rapporto con la comunità lo sbocco verso una forma più elevata di democrazia che può vedere la popolazione artefice del suo destino, può integrare i fattori produttivi verso scelte responsabili di mediazione degli interessi che guardino al futuro non solo economico. Che abbandoni l’ideologia balistica e del ritorno degli investimenti come condicio sine qua non per progettare il futuro. La tecnologia è pronta a questo utilizzo, l’economia è in trasformazione proprio rispetto al tema della sostenibilità, la politica attende il via come già avvenne per l’avvento della Repubblica di Pericle.
Gli italiani lo vogliono, se lo aspettano ma ancora non agiscono perché non sanno come si può fare. Marini ha intenzione di mettere al servizio di tutti noi l’esperienza positiva degli agricoltori. Il percorso è difficile perché Sergio Marini sa che l’agricoltura ha bisogno di integrarsi con l’artigianato, la media e piccola impresa, il turismo in un nuovo modo di concepire la programmazione delle attività umane sul territorio. Sergio Marini non è Pier Paolo Pasolini che affermava che senza agricoltura ed artigianato l’Italia non avrebbe avuto più una Storia. E’ un uomo della pratica e della riflessione teorica sulla prassi ma la sua utopia richiama quella del poeta e come il poeta muove le corde emotive oltre che quelle razionali ed è per questo che credo molti italiani e non solo, apprezzeranno la sua proposta e saranno con lui.