di Dario Fruscio

3^parte

Ulteriori riflessioni sul tema Debito pubblico italiano/Europa/Euro, focalizzate sul seguente tema fortemente dibattuto:
La permanenza nell’area dell’euro una questione di costo/opportunità. Prima ancora, una questione di serietà e lealtà

Una sedicesima riflessione si ritiene non possa mancare in ordine al dilemma euro sì, euro no.
Circa l’aspetto costo/opportunità, unica certezza è che mancano riferimenti analitico-quantitativi tali da favorire una benché minima risposta al dilemma. Quali e quanti i costi e gli svantaggi cui far fronte nel caso di permanenza dell’Italia nell’area euro; e quindi, viceversa, quelli cui si andrebbe incontro nel caso di uscita del Paese dall’area euro? E’ quesito derimente ma di difficile soluzione in considerazione del fatto che non si dispone di conoscenze analitico-quantitative tali da consentire una risposta apprezzabile al quesito. Non pare si possa andare oltre la constatazione che la permanenza nell’euro dell’Italia comporterebbe costi e oneri in un certo qual modo percepibili e quantificabili dal sistema economico; quelli afferenti l’uscita dall’euro sarebbero soltanto stimabili . Quindi,di assoluta improbabile determinazione.
Una diciassettesima riflessione induce a considerare che, a questo punto, si è nel vivo della questione. Serietà e lealtà vorrebbero che rispetto al dilemma euro sì, euro no, si passasse dalle urla e dalle osservazioni tanto accattivanti quanto demagogiche e prive (perfino) di comune buon senso, alla esplicazione di indirizzi e di suggerimenti fondati su basi tecnico-scientifici, tale da suffragare l’ipotesi dell’uscita dall’euro.
Pare possa esser detto che l’uscita eventuale dell’Italia dall’area euro configurerebbe uno scenario drammatico nell’area euro e oltre. L’inizio sarebbe il ritiro dei risparmi dalle Banche secondo la dinamica descritta nella precedente tredicesima riflessione. Vale a dire,un effetto imitazione di altri Paesi comunitari del tutto comprensibile consistente nel porsi sulla scia del recesso dell’Italia dal sistema euro.
Più esplicitamente, pare sia sensato immaginare che il recesso dell’Italia, in considerazione del suo peso quale terzo Paese industriale dell’Ue, potrebbe porre in essere una situazione di successivi recessi dall’area euro, tale da minare alle fondamenta oltre che i Paesi uscenti, tutto il sistema integrativo europeo.
Chiare sono state a tal riguardo le parole rese recentissimamente dalla Merkel al Parlamento tedesco:”Il fallimento dell’euro sarebbe il fallimento dell’Europa”.
Una diciottesima riflessione sarà conclusiva della serie di riflessioni finora esplicitate sul tema. Essa porta a considerare che il posto del nostro Paese non può continuare ad essere la “gabbia d’acciaio”, precedentemente evocata. In tale collocazione non potrebbe che ridursi in area economica di consumo di beni e sevizi prodotti in altri Paesi europei e non europei.
Però, la possibilità del Paese di affrancarsi dal rigore della “gabbia” contrasta con i limiti e le regole che sostanziano le convenzioni, ovvero gli impegni sottoscritti dai Paesi aderenti all’Ue e da quelli facenti parte dell’area euro, Italia compresa. Tale stato di cose pone ampi filoni di cittadini italiani ed europei nella condizione di gridare con forza sempre crescente, soverchiata soltanto dall’assenza di proposta alcuna, l’uscita dall’area euro, quale rimedio a tutti i mali economici-sociali-istituziomali in cui versa il nostro Paese.
Cosa dire? Che di urla mai è stato edificato dall’uomo e dalla società alcunché di utile e di efficace per le popolazioni.
A questo punto viene da pensare che altro non vi sia da fare che rappresentare all’Europa che la protrazione della politica del rigore nei conti non vale a risollevare le sorti del nostro Paese. Che, conseguentemente, occorre che l’Italia possa dar mano ad un piano di investimenti in grandi infrastrutture in beni pubblici, anche d’interesse europeo: ricerca di base, tutela dell’ambiente, nuove tecnologie, reti informatiche e telematiche, beni culturali, rilancio dell’università e della ricerca scientifica.
Occorre che tale possibilità venga consentita dall’Europa per un certo periodo di tempo, in deroga agli accordi e agli impegni sottoscritti dall’Italia. In particolare, riguardo all’obbligo del pareggio di bilancio previsto entro l’anno finanziario 2015, ed altresì riguardo all’accordo sul “fiscal compact”.
Evidentemente, per puntare all’ottenimento di una tale deroga, il Paese dovrà procedere con incisività e maggiore determinazione in direzione della riforma del proprio settore pubblico, compreso quello della Giustizia e quello giudiziario, il miglioramento ulteriore della flessibilità del mercato del lavoro, la concorrenzialità del proprio mercato interno. Tante altre cose che potranno essere di spinta verso un proprio sistema di crescita sostenibile.
Dopo di che, riavviata e consolidata la fase di un nuovo percorso di crescita sostenibile, l’Italia potrà essere osservante delle regole e dei vincoli propri dell’eurozona.
Il tutto, dall’inizio alla fine del regime di deroga, nel presupposto che il Paese si ponga nella condizione di meritare fiducia in ordine alla sua determinazione e capacità d’invertire la sua tendenza al declino. Quindi, anche nella possibilità di porsi al di sotto del tre per cento nel rapporto fra debito e Pil.
Gli strumenti perchè Bruxelles consenta un tal regime derogativo all’Italia ci sono e sono universalmente noti. Sono sempre gli stessi dacché vi fece ricorso John Maynard Keynes in occasione della storica Grande Depressione negli USA.
Sono quelli degli investimenti pubblici degli Stati nazionali durevoli aventi fecondità ripetuta per decenni . A tale particolarità dovrebbe corrispondere una contabilizzazione nei bilanci nazionali di tali immobilizzazioni secondo il criterio della “golden rule”, così ponendoli fuori da ogni vincolo comunitario.
A fondamento e sostegno di tale modalità di espressione della contabilità pubblica, risiede anche il diritto di ciascun Paese comunitario di esser artefice della propria facoltà di percorrere vie autonome e proprie di modelli di crescita e di sviluppo, ripartendo i relativi costi secondo criteri di utilità fra il presente e le generazioni future.
Altre considerazioni potrebbero essere addotte a sostegno della “golden rule”. Pure sarebbe interessante porre in luce la base scientifica solida su cui si fondava la deterministica volontà del Keynes dei tempi del New Deal. Un riferimento per tutti: lo strumento elaborato da Richard F. Khan, il cosiddetto moltiplicatore di Khan, di cui più particolareggiata trattazione si può trarre dal libro del sottoscritto “Dalla crisi finanziaria alla crisi totale”, Maggioli Editore, 2012

Segue…..