Quasi sette anni Presidente di Coldiretti non sono pochi, ma per me e per chi mi conosce bene sono molti, perché vissuti intensamente con vera passione, senza mai risparmiarmi. Per altro io conosco un solo modo di impegnarmi, e mi resta difficile trovare “la mezza misura”, praticare i “ma anche”.Ho preso un impegno con i miei soci e nello svolgerlo ho sempre risposto alla mia coscienza, che mi ha chiesto di onorare la dignità di chi ha riposto in me la fiducia e mi ha chiesto di non tradirla mai e di farlo sempre al massimo delle mie possibilità. Cosi sono fatto e cosi continuerò ad essere. Lo ho fatto con passione e mettendo tutto me stesso, proprio perché volevo restituire dignità ad una categoria, i coltivatori diretti e l’agricoltura, troppo spesso vista come problema sociale, causa di disastri ambientali, peso a carico delle casse pubbliche. Categoria in passato posta ai margini della società e dell’economia, raccontata senza futuro se non per poche grandi aziende che avrebbero dovuto competere con il mondo su prezzi ed economie di scala. Così ci dipingevano gli esperti, questo ci insegnavano nelle scuole e nelle università, questo in fondo pensava la gente. Coloro che non sapevano, non facevano, non emergevano per la società erano definiti “Braccia rubate all’agricoltura”. Ma noi non ci siamo rassegnati, anzi ci siamo rimboccati le maniche, abbiamo buttato nel cestino quelle teorie socio-economiche e abbiamo fatto di testa nostra. Eravamo convinti che, nonostante “gli analisti”, noi ovvero quelli che producono cibo, un bene comune, non potevamo essere il problema e la storia lo ha confermato: sbagliate erano le teorie assurde di un modello socio-economico globale anch’esso sbagliato.Oggi nessuno può negare che agricoltura, coltivatore diretto, cibo, filiera corta, multifunzionalità, km0, biodiversità, sicurezza alimentare, vendita diretta, export agroalimentare, Made in Italy, tipicità, innovazione, giovani, cultura, bellezza, paesaggio, sono tutti termini positivi e tutti hanno a che fare con le nostre azioni e con il nostro fare quotidiano.Se solo in questo anno le iscrizioni agli istituti agrari e alle facoltà di agraria sono aumentate del 40% (mai accaduto nella storia); se aumentano le giovani imprese agricole; se l’export agroalimentare cresce a due cifre; se le imprese agricole italiane garantiscono il più alto valore aggiunto ad ettaro e il nostro Made in Italy è copiato in tutto il mondo; se la società, la gente ci apprezza sempre più come esempio positivo e di verità; se la politica ci guarda come espressione di un nuovo modello di sviluppo, dove crescita e occupazione ma anche buone relazioni sociali, tutela ambientale e qualità della vita possono coesistere anzi si alimentano a vicenda; se le nostre bandiere, con orgoglio, sventolano ovunque e suscitano simpatia e rispetto; se oggi tutto questo accade vuol dire che molte cose sono cambiate.Certo resta il problema del reddito ancora basso, colpa di un Paese in perenne crisi e del calo dei consumi, ma nei giovani, ovvero nel futuro, è riapparsa almeno la speranza, la fiducia, la consapevolezza che nell’Italia di domani ci sarà tanta agricoltura, ed è tornato almeno fra noi l’ingrediente principale che manca nel Paese: credere in se stessi e in un sogno imprenditoriale possibile.Sta a noi tutti non avvilire quel sogno, coltivarlo e riempirlo di verità.Ciò che è accaduto in questi anni è frutto di una azione costante, quasi asfissiante ma decisamente meritevole di essere raccontata almeno nei principali titoli. Hanno preso forma i grandi progetti valoriali con la nascita della fondazione Campagna Amica e le sue articolazioni progettuali, i farmers market, le botteghe, i mercati degli agricoltori; è nata la filiera firmata dagli agricoltori italiani (FAI) e le sue articolazioni imprenditoriali dal sistema dei consorzi agrari a CAI sino alla filiera agricola italiana SPA. E’ nata UEcoop, Creditagri Italia, Impresa pesca, sono nati i grandi eventi dal Palalottomatica a Oscar Green, dalle straordinarie assemblee dei giovani a Cibi d’Italia, alla giornata del Creato. Sempre un successo su ogni profilo e sempre con i conti in ordine e una solidità economica patrimoniale invidiabile. Si sono moltiplicate la presenza nelle piazze e nei media, si è rafforzato quel rapporto stretto con la gente, misto di fiducia e simpatia, una straordinaria empatia quasi a condividere la necessità di sorreggersi e spronarsi a vicenda. Si sono rafforzati notevolmente i rapporti e le relazioni con le istituzioni e i media ci hanno seguito con costanza e attenzione.È cresciuta una straordinaria rete di imprenditori giovani e donne di inestimabile valore imprenditoriale, mossi da una carica etica e passione civile che rappresenta una garanzia assoluta per il futuro Coldiretti per l’agricoltura e direi per l’intero Paese.Sono stati anni di battaglie per difendere in ogni sede, con coraggio e determinazione, i valori forti quali la trasparenza, la legalità, l’informazione al consumatore e tutto questo nonostante le potenti lobby, l’ambiguità di certa politica, l’ostruzionismo Europeo. Le manifestazioni di Bologna o al Brennero, o ancora quelle a piazza Montecitorio per sostenere i provvedimenti sul Made in Italy, etichettatura, fisco, lavoro le ricorderemo per sempre.Sono stati anni in cui abbiamo recuperato un ruolo centrale nelle relazioni internazionali, il G8 Agricolo, gli incontri a Bruxelles sono a dimostrarlo così come l’approvazione della PAC per i prossimi sette anni, avvenuta pochi giorni fa e con la quale, per la prima volta, le risorse potranno essere destinate ai soli agricoltori che vivono di quel mestiere, smontando finalmente un sistema di rendita che abbiamo subito per decenni. Tutto questo ha di fatto rivoluzionato la nostra agricoltura e il nostro modo di essere, ma non ha risolto a fondo il problema più grave, quello del reddito, e questo non sarà possibile se il Paese non riparte, se insieme all’agricoltura e sulla scia dei suoi nuovi successi non proviamo anche a cambiare l’Italia.Da tempo ho come l’impressione di trovarmi su un vagone di un treno sul quale si è fatto di tutto per rendere confortevole il viaggio, salvo poi accorgersi che il vagone è agganciato ad un convoglio fermo e senza motrice. Il vagone è la nostra agricoltura, il nostro agroalimentare, il nostro territorio, mentre il treno è l’Italia tutta e la motrice è il caos. A rendere più parossistica la metafora è che i binari ci sono, e anche di ottima fattura, sono lo straordinaria ricchezza e voglia di fare degli Italiani, dei suoi giovani, la creatività, l’intelligenza e la fantasia, le tradizioni, la cultura, la storia, la bellezza di ogni angolo del nostro Paese. Sono un insieme di comunità intrise di solidarietà, di sussidiarietà, di relazioni e valori veri. Binari in solido ferro, ma invisibili perché impietosamente seppelliti sotto i detriti prodotti dall’apatia del nulla.Questa è oggi la nostra Italia, e noi, da Italiani che viaggiamo su quel treno e vogliamo bene all’Italia, non possiamo semplicemente rassegnarci o al limite indignarci. Non basta! Ciascuno per quello che può, e senza risparmiarsi, ha il diritto ma anche dovere morale e civile di aiutare a dissotterrare quei binari, di fondere una nuova locomotiva per far partire quel treno. Lo dobbiamo al Paese, lo dobbiamo ai nostri figli per riappropriarci della dignità e della speranza che abbiamo smarrito, per riconquistare quell’orgoglio di essere italiani che ci appartiene e che la storia e i nostri genitori ci hanno consegnato con tanti sacrifici.Insieme a tanta gente straordinaria, possiamo dimostrare che cambiare è possibile, migliorare l’Italia è possibile, dunque quel treno fermo a cui siamo necessariamente legati può ripartire e ciascuno di noi su ogni vagone può portare il suo contributo di idee per ripulire quei binari e trainare tutti. E ciò che abbiamo fatto nella nostra agricoltura può rappresentare un brillante esempio da emulare per tutti e ovunque.Certo, occorre sentirselo dentro, occorre avere coraggio, mettersi in gioco e sentirsi liberi; occorre la forza di dire no a ipocrisie e compromessi ; occorre saper guardare avanti e in alto; occorrono idee, testimonianze vere e la certezza di poter raccontare senza omissioni le proprie storie personali ; occorre tanta gente di buona volontà. Tanta gente di cui, a guardarsi intorno, l’Italia è piena.Occorre dunque metterci la faccia e mettercela ora!Ora, perché il Paese affonda tra litigiosità sul nulla e su compromessi che nascono ambiziosi ma durano un giorno; ora, perché i nuovi poveri sono troppi, i disoccupati sono troppi, le imprese che chiudono sono troppe e troppo è il nostro miglior Made in Italy che va via dall’Italia. Ora, perché la recessione, che come tutte le brutte notizie viene raccontata un po’alla volta, ci sta mangiando il futuro e il Paese. Ora, perché anche le migliore imprese, la parte più operosa del Paese, la migliore Italia se permangono queste condizioni, non può certo farcela. Ecco perché, nelle forme che la coscienza ci consiglia, nei contenuti sedimentati con le esperienze di ciascuno, tutti coloro che fanno del bene comune una pietra angolare del proprio agire, devono avere la forza di dare una mano. Entrare in quel laboratorio dove la locomotiva con destinazione “futuro” aspetta di essere ricostruita. È un’impresa difficile, ambiziosa, ma giusta. In fondo queste sono le cose che nella vita fanno la differenza, perché, nonostante tutto, a questo Paese vogliamo un mare di bene.
Il saluto al Consiglio Nazionale di Coldiretti – 07 ottobre 2013
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