foto fruscio di Dario Fruscio

Una ventiquattresima riflessione, giunti a questo punto delle considerazioni finora svolte, dovrà vertere su quanto potrà e dovrà essere fatto dall’Italia affinché, conto tenendo del Fiscal compact e della sua coerenza con l’altra misura del Pareggio di bilancio, non finisca per essere schiacciato sotto il giogo dei dogmi rigoristi di Bruxelles.

Senza tanti giri di parole, ma anche senza esitazione alcuna, c’è da dire che l’Italia per fare ordine nei suoi conti pubblici, ovvero per porli in equilibrio secondo i dettami stabiliti, in sede Eurozona e dell’Ue, ha bisogno di maggiore flessibilità, sia dal punto di vista della tempistica, sia per quanto riguarda modalità e criteri  di attuazione di tale riequilibrio.

Intanto, una consapevolezza di base: cardine dei conti pubblici del nostro Paese è il suo debito pubblico. Attorno ad esso ruota la sorte dell’Italia, dell’Unione europea e dell’Euro, nonché, molto verosimilmente, di altre  aree regionali e monetarie, a dar riguardo all’opinione di Joseph Stiglitz, secondo cui il pericolo più imminente per la stabilità dell’economia globale è dato dall’Eurozona, che rappresenta un rischio cronico.

Rispetto a ciò, un dato prevale su ogni altro: la Commissione europea, i leaders dei governi dei Paesi comunitari, i responsabili delle istituzioni finanziarie europee e internazionali sono risoluti nel rappresentare frequenti allarmi circa il livello del debito del nostro Paese. Invero, in allarme alto è anche l’Italia, con in prima fila il Presidente della Repubblica  ed a seguire il Governo, il Parlamento, le Autorità monetarie nazionali, le associazioni sindacali, quelle professionali e imprenditoriali. E, fatto di alta valenza civica e di autentico senso dello Stato, la totalità della comunità nazionale, segno del buon senso, della correttezza e della lealtà verso la Nazione da parte dei suoi cittadini. Tutti concordi costoro, istituzioni, enti e persone, nel ritenere che il debito nazionale rappresenti il vero macigno che grava sulle sorti del nostro Paese e, per più motivazioni, tiene sotto scacco l’intera impostazione attuale dell’Unione europea. Tutti, fatta eccezione di qualche bercio e dei soliti camaleonti, questi ultimi muniti di cultura materiale estremamente rudimentale danno ad intendere di essere dalla parte dell’euro, ma  non lo sono più quando il loro personale interesse esige che stiano dalla parte dei berci “basta euro” o di altro dello stesso genere,.

Opportunamente le Istituzioni europee, con unanime condivisione dei Paesi via via integratisi nell’Unione, da sempre si sono applicati nell’attività d’individuare procedure e meccanismi in grado di rendere possibile, all’occorrenza, riportare la soglia del debito di ogni Paese comunitario in limiti fisiologici.

A tal riguardo, lo strumento di maggior efficacia per la regolazione del debito veniva individuato nel fiscal compact. Trattasi di un meccanismo di controllo e di regolazione del debito pubblico che in linea concettuale ed astratta non dovrebbe interferire sulle scelte e sulle dinamiche produttive e delle politiche economiche, che sono proprie ed esclusive delle nazioni integrate nell’Ue. E tuttavia, contemporaneamente, in grado di tenere sotto controllo la curva dell’andamento del debito dei vari Paesi comunitari. Uno strumento coerente con l’altro, pure esso ineludibile e fondamentale, del pareggio di  bilancio.

Altro vincolo chiave è quello del rapporto deficit/Pil. Di cosa si tratta e quale la sua funzione? E’ un vincolo che fa parte dell’articolazione del patto di stabilità e crescita. Il limite massimo di tale rapporto è fissato fino al 3% . Soglia oltre la quale la Commissione instaura la prevista procedura per deficit eccessivo, che consiste nell’invitare lo Stato responsabile di tale inosservanza di adottare adeguate misure correttive. L’inosservanza di tale invito fa scattare la particolare e pesante procedura sanzionatoria.

Quale la funzione di tale misura? Semplice, si ricava dalla natura stessa del rapporto deficit/Pil: le dimensioni del debito pubblico vengono viste in rapporto al Pil. Un rapporto,quindi, visto come asticella segnaletica della possibilità di uno Stato di ammortizzare il debito che accumula per effetto dell’insieme della consecuzione dei deficit.

Ritorniamo al centro del centro della strumentazione testé definita, chiedendoci in cosa consista e quale sia il funzionamento del Fiscal compact,  di cui tanto si parla, normalmente con sicumera, pari a corrispondente disconoscenza dell’architettura di tale medesimo strumento.

Ridotto all’essenziale, si può dire così: ogni Paese altamente indebitato, facente parte dell’Unione europea,  dovrà ridurre annualmente di un ventesimo l’eccesso di debito rispetto al 60% del proprio Pil.

Posto che all’atto dell’istituzione del Fiscal compact  il livello del debito del nostro Paese era pari al 120% del Pil, vediamo, in via analitica, quali potranno essere i possibili scenari derivanti dall’applicazione di aggiustamento del “fiscal compact”:

scenario primo

posto, come appena detto, al 120% il livello del debito rispetto al Pil, deducendo da tale percentuale il 60%, quale misura convenzionale dell’eccesso del debito, risulta che la prevista riduzione del 20% (sull’eccesso del 60%) implica un taglio, ovvero una manovra correttiva sui conti pubblici pari al 3% del debito pubblico (60% / 20%= 3% ). Posto il livello del debito pubblico pari a circa 2.000 miliardi di euro all’epoca dell’introduzione del fiscal compact, l’importo della manovra correttiva sarebbe quantificabile in euro 60 miliardi in sede di primo anno di applicazione di tale misura correttiva del debito.

scenario secondo

fermi i termini dell’ipotesi di cui testé, se il nostro Paese avesse una crescita  nominale annua 3% (si supponga una crescita reale del 2,5% e un’inflazione dello 0,5%), le istituzioni politico-amministrative nazionali non avrebbero necessità alcuna di ricorrere a manovre restrittive. Il debito pubblico tenderebbe a ridursi di per sé;

scenario terzo

il livello del debito rispetto al Pil anziché decrescere, si supponga passi dal 120%  al 130%. E ciò per effetto preponderante dello stock del debito pubblico passato da 2.000 miliardi  a 2.140 miliardi In tal caso il taglio di cui allo scenario primo diverrebbe del 3,5% per effetto del seguente calcolo    ( 130%-60%)x1/20= 3,5%.

Attualmente lo scenario che si attaglia al nostro Paese è il terzo ora indicato. E ciò per la semplice considerazione che della frazione debito/Pil, il numeratore piuttosto che decrescere nel tempo continua nel suo trend incrementale (era di circa 2.000 miliardi di euro all’atto dell’emanazione del Fiscal compact, viaggia in un intorno di circa 2.140 miliardi di euro attualmente). Per converso, il denominatore, il Pil, per altro trainato essenzialmente dalla domanda esterna, mon ha manifestato, nel corrispondente periodo, un trend incrementale in linea con l’aumento del debito. Né, potrà vedere che un trend di crescita di pochi decimali nei prossimi 2-3 anni. Dopo che, è il caso ricordarlo, nello spazio degli ultimi cinque anni si sono persi 8 punti.

Conseguenza di ciò è che, ove già fosse in vigore il “fiscal compact” ed altresì supposto il livello del debito rispetto al Pil pari al 130%, la manovra correttiva che graverebbe attualmente sul bilancio del nostro Paese, sarebbe commisurabile in un intorno di euro 74,9 miliardi (2.140×3,5)

Quale la morale traibile da tutto quanto qui detto? Che c’è univoca concordanza fra l’Italia e la Commissione circa una forte preoccupazione per la crescita del debito del nostro Paese sul Pil che, giova ricordarlo, è passato dal 120,7% del 2011 al ben più allarmante 134,9% attuale. Tale univoca concordanza lascia immutate, tuttavia, le posizioni delle varie parti in commedia: quella della Commissione, che periodicamente e sempre più frequentemente, raccomanda all’Italia l’importanza che siano prese misure di risanamento per garantire il rispetto del patto di stabilità e crescita, con particolare riguardo a mettere il rapporto debito-Pil su un sentiero discendente. Con la Banca Centrale europea a richiamare l’Italia, un giorno sì e l’altro pure, al rispetto degli impegni presi con l’Europa mediante misure addizionali per assicurare l’obiettivo di medio termine del pareggio strutturale di bilancio nel 2014 (oggi si suppone nel 2015, a seguito di conforme richiesta del Governo italiano), ed altresì di porre il rapporto debito-Pil su un sentiero discendente.

Quali finora i risultati di tale pressione sui conti del nostro Paese? Nessuno, nella direzione attesa. Al contrario, piuttosto che progressi tangibili in direzione del risanamento delle condizioni dei propri conti pubblici, si è vista peggiorare, come prima constatato, la dinamica del debito nel breve periodo.

Nel medio-lungo periodo procedendo secondo tale deriva,il risultato non potrà che essere una dinamica del debito con crescita via via  esponenziale. Quindi insostenibile, giacché i mercati finanziari  di fronte ad una tale dinamica, raggiunto il debito un certo peso, precluderebbero al Paese la possibilità di accedervi se non a livelli di costo altissimi. Ovvero incompatibili e insostenibili dai conti pubblici nazionali.

Quale la morale da trarre da tutto ciò?  Semplice, che con un debito pubblico dell’entità di quello italiano, la strategia di politica economica fondata sul rigore dei bilanci pubblici facente perno sull’austerità, non rende possibile il rientro nella “regola del debito”. Nel contempo tale strategia fa da freno alla crescita; vale a dire, all’unica e sola condizione da cui potrà discendere il risanamento strutturale del debito pubblico.

Per altro, l’evidenza traibile a partire dalla crisi finanziaria globale che ha avuto ingresso nel 2008, è che le politiche europee di bilancio per il risanamento dei conti pubblici ha fatto sì che si realizzasse una forte spinta recessiva sull’attività economica del nostro Paese. Il che, a tutta evidenza, consente di dire, ancora una volta, che in assenza di crescita è soltanto illusorio pensare di poter porre il rapporto debito-Pil sull’agognato sentiero discendente.

A questo punto cosa fare?  Lo vedremo nel prosieguo delle nostre riflessioni .

Per l’intanto possiamo anticipare che il nostro Paese non può “morire di austerità” e degli inevitabili e conseguenti fenomeni recessivi indotti. In tale condizione insistere da parte dell’Ue su un progetto di aggiustamento strutturale del debito del nostro paese secondo regole dogmatiche, è come sostenere la possibilità di convivenza del bene e del male. E’ fare, cioè, puramente e unicamente professione di manicheismo, così aumentando la spinta del nostro Paese verso derive depressive con deflazione. Una minaccia che continua a incombere sul nostro Paese e che potrebbe propagarsi su altri paesi dell’Unione. Un pericolo messo in conto anche dall’intellighenzia tedesca, da Jurgen Habernas a Gunter Grass, a Martin Schulz. Lo stesso pericolo direttamente vissuto dalla Germania fra gli anni 1930/1932, con tutto il portato del mix eversivo che la storia ci ha tramandato, senza sconti e con nuda e cruda realtà.