A fine gennaio dell’anno in corso Standard & Poor’s esprimeva forti perplessità circa la possibilità del nostro Paese di agganciare la ripresa economica. Tale parere muove da una previsione di crescita economica annua fra il 2014 e il 2016 dello0,5 % contro quella dello 0,7% prevista dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca d’Italia.
Di mezzo fra quel rating e quello emanato pochi giorni fa dalla medesima S&P’s vi sono stati i risultati elettorali delle elezioni europee, forti di un portato di straordinario consenso (40%) conseguito dal PD mediante l’energica propulsione impressa alla campagna elettorale dal Premier e Segretario del PD.
E si sa, il consenso è condizione importante e legittimante per realizzare la fitta rete di condizioni e azioni indispensabile a porre in essere quei processi di cambiamento, ovvero di riforme, attraverso cui far transitare il convoglio della ripresa economica. Attenzione, però, a supporre che il consenso, di per sé, possa essere tradotto in effetti di crescita e sviluppo.
Ed è proprio in ciò quel che, con sano realismo e ragionato outlook negativo, S&P’s ripete nel suo più recente parere sul nostro Paese.
Certo, tale posizione della Società di valutazione americana si presta ad essere bollata di ostracismo nei confronti del nostro Paese ad opera di non meglio precisate forze ad Esso avverse. Si sa, i cavalieri del Re Artù erano tanti e tutti dediti a pestare la polvere affinché al loro Re, in mancanza d’altro di utile e di vero, venisse ostacolata la comprensione dello stato effettivo delle cose.
E’ stato perfino detto, con domanda retorica, come nel mentre lo spread fra i BTp e i Bund scendeva al minimo dell’aprile 2010 (138 punti base) e la nostra Borsa nazionale festeggiava le decisioni della Bce segnando un rialzo dell’1,54%, abbia potuto S&P’s tuonare a ciel sereno così rumorosamente e tanto minacciosamente. La nostra risposta è perché, semplicemente, da noi mai si è considerato approfonditamente ch’è ben noto all’Agenzia di valutazione americana che la tendenza alla crescita non c’è nel nostro Paese da lungo tempo, nella realtà e concretamente. Viceversa vi è una condizione di lunga decrescita, così segnalata da una fotografia di qualche giorno fa dell’Ufficio Studi della Confindustria, diretto da Luca Paolazzi:
“I dati dicono di una caduta di produzione in Italia del 25% dal 2000 ad oggi contro un incremento del 36% nel resto del mondo”
Non meglio pare stiano le cose se osservate in un’ottica di breve periodo. Dal Sole24ore del 5 corrente mese è dato apprendere che sulla produzione industriale si può dire di un modestissimo +0,2% mese su mese. La medesima fonte, riprendendo dati Istat, evidenziava in maggio u.s. un peggioramento sugli ordini delle imprese e rendeva noto che nel mese di aprile u.s. sono andati perduti ulteriori 68000posti di lavoro.
In buona sostanza, per S&P’s i tanti cavalieri del Re Artù, da altri definiti “laudatores” non smuovono di un millimetro le gravi e pesanti condizioni che fanno da blocco alla condizione economica del nostro Paese. Ripetiamo, il Pil è inchiodato a quel -0,1% del primo trimestre 2014 e nulla incoraggia a ritenere che da quel livello possa concretamente discostarsi nei trimestri a seguire. Per non dire dell’andamento del prodotto che è pressoché piatto.
Ecco di cosa si sostanzia il giudizio di Standard & Poor’s sull’economia del nostro paese. Tanto a volerci risparmiare altri riferimenti traibili dalla ricerca del Centro Studi di Confindustria prima evocata, che parlano anche dello scivolone dell’Italia dal 5° all’8° posto nella classifica mondiale dei paesi manifatturieri. Prima del nostro Paese sono collocati la Corea del Sud, l’India e il Brasile, che continuiamo a definire Paesi emergenti, quasi a volerci convincere che valga la pena che delegazioni miste Governo-Imprenditori vi si rechino per farvi affari ed anche, verosimilmente, per aiutare quei Paese, quei mercati e quei sistemi produttivi ad uscire dal loro status di “emergenti”.
Nel mentre diciamo ciò , non possiamo non considerare che la nostra quota di produzione industriale mondiale è passata dal 4,2% del 2000 al 2,6 % del 2013; il tasso di crescita medio annuo della produzione manifatturiera nazionale è passato dal -0,1 degli anni 2000/2007 al -5 del 2008/2013. Ecco qualcosa di cui tiene conto S& P’s per il nostro Paese.
Alla luce degli scarni riferimenti analitici finora visti, pensiamo si debba essere sorpresi della sorpresa di chi e di quanti ritengono sorprendente outlook negativo sull’Italia della Società di valutazione americana. Un outlook negativo visto perfino disallineato e in controtendenza rispetto all’andamento dei mercati secondari che ha valutato, come prima si diceva, le recentissime decisioni della Bce con un immediato rialzo borsistico di ben !,54% (Borsa di Milano).
Niente di tutto ciò. Non disallineamento, né controtendenza si sono avuti. Valga il vero: in un’ottica speculativa gli acquisti “mordi e fuggi” nel rincorrere rendimenti alti inducono i mercati ad acquistare BTp aumentando il rischio Italia in portafoglio. Di fronte a tale atteggiamento sta quello dei grandi investitori istituzionali internazionali che restano leggeri nei confronti dell’Italia, in quanto il nostro Paese da essi ritenuto non meritevole di affidamenti finché, nel medio-lungo periodo, non soltanto manifesti intenzioni e impegni di crescita, ma realizzi tassi di crescita nominali e sostenibili di almeno il 2% annuo , in un’ottica di medio-lungo termine.
La conclusione di S &P’s su quanto qui velocemente tratteggiato possono essere così sintetizzabili:
le misure della Bce e il concorso del sistema bancario nazionale e della Cdp possono contribuire a sostenere il consolidamento dei conti pubblici,. Ma il problema della crescita asfittica non potrà essere risolto mediante interventi di sola politica monetaria. E’ problema che rimarrà irrisolto se lo stock del debito pubblico non potrà essere regolato dal nostro Paese, secondo meccanismi, modalità,procedure e tempi acclarati e condivisi dall’intera Ue, dalla Commissione e dagli Organismi comunitari tutti. se cioè di tale cancro non se ne prenderà cura anche l’Unione europea facendo prevalere su ogni altro intendimento lo spirito cooperativistico e solidale che sta alla base dell’intesa unionistica originaria. Fermo, ben s’intende l’inevitabile e inderogabile necessità che l’alleggerimento del debito debba venire a cura e onere del nostro Paese.
Per tale ultima prospettiva, chi sottoscrive il presente “pezzo” osa lanciare l’idea che la Fondazione Italia Sostenibile per azioni, possa divenire laboratorio di quanti (soggetti politici, uomini e donne di buona volontà e di alta sensibilità civica, di ogni appartenenza accademica e sociale) ritengano di poter concorrere alla identificazione di quel quadro cooperativistico e solidale di cui testé, che, unico e solo, potrà rendere possibile al nostro Paese di rientrare nel novero dei Paesi europei muniti di consolidata possibilità e caratteristiche per essere artefici oltre che dello sviluppo delle singole nazioni europee anche e soprattutto dell’Unione europea ed oltre Essa.
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