Una venticinquesima riflessione.
Dicevamo nella precedente ultima riflessione che v’è piena consapevolezza nelle alte sfere istituzionali del nostro Paese, ovunque dislocate, della particolare gravosità dei conti pubblici nazionali e della necessità dell’adozione di politiche economiche che volgano verso un sentiero di sicuro ed equo riequilibrio di detti conti. Vi è di ciò piena e generale consapevolezza, per cui di ulteriori moniti e di pressioni provenienti dalle istituzioni dell’Unione, dalla commissione Ue, dalla Banca centrale europea, proprio non si avverte il bisogno di averne più oltre.
Detto questo, va parimenti affermato che continuare a ripetere che l’Europa non detterà la linea al nostro Paese, sia perché “senza Italia non c’è Europa”,sia perché il nostro rapporto con l’Ue non può ridursi ad una questione “solo di virgole e percentuali”, com’è stato chiosato di recente perfino in sede delle nostre Camere parlamentari, equivale a fare esercizio di stravaganza, sicuramente non consono allo spirito di ordine mutualistico e di cooperazione sopranazionale che sta a fondamento della complessiva articolazione dell’integrazione europea, come della sua moneta unica.
Piuttosto sarà ineludibile, oltre che rispondente ad alto senso di civiltà politica ed a sicuro vantaggio delle regole di convivenza civile in ambiti comunitari internazionali, porsi sul sentiero del dialogo sereno ed approfondito su ciò che il nostro Paese ritiene vada posto e proposto in tutte le sedi dell’Unione affinché la prospettiva del risanamento dei suoi conti pubblici valga per sé, ma anche per il suo concorrere al rafforzamento del consolidamento strutturale dell’Unione europea. Sul punto sarà il caso riprendere il pensiero di uno degli economisti attuali di maggior peso:alla domanda recentemente posta al prof. Josef Stiglitz su quale sia l’area geografica che oggi preoccupa di più, il Nobel per l’economia rispondeva che tutto il mondo vive sul filo teso di possibili crisi. Ovvero del pericolo di possibili nuovi “impasse” negli Stati Uniti; di un sempre possibile rallentamento della crescita in Cina e in altre economie emergenti; di bagliori di crisi che potrebbero sfociare in conflitti bellici in aree regionali ampie e strategicamente importanti- si pensi all’attuale crisi Russia-Ucraina. Ma, aggiungeva l’Esimio Professore, “ il pericolo più imminente per l’economia globale è dato dall’eurozona che rappresenta il rischio cronico”
A questo punto, stando così le cose, pare che altro non ci sia da fare che uscire dalla stretta della tenaglia in cui il nostro Paese è venuto a trovarsi, o meglio è stato cacciato nel corso degli ultimi venti anni, decorsi in assenza di politiche economiche volte alla sua crescita economica e al suo sviluppo sociale.
Come fare ciò? Decidendo il Governo italiano, supportato dal Parlamento e dalle categorie professionali rappresentative delle componenti produttive, sociali, politiche del Paese, di rappresentare, finalmente, in tutte le sede dell’Ue una linea politica economica e fiscale che derogando dal rigidismo dell’attuale strumentazione europea del controllo sui conti pubblici dei Paesi aderenti all’Ue, renda possibile all’Italia di pervenire al ridimensionamento radicale del suo debito pubblico, fino al conseguimento del pareggio di bilancio. Una possibilità, questa, che non può che presupporre tempi lunghi rispetto a quelli ravvicinati previsti dalle norme e dai regolamenti comunitari.
E d’altronde, come non persuadersi, da parte di tutti i Paesi comunitari, che la loro pur legittima aspettativa della persistenza dell’Italia sulla strada del risanamento dei propri conti pubblici secondo stretta osservanza delle normative continuerebbe a sospingere il nostro Paese verso una condizione di vero e proprio salasso, con finale suo crollo?
Si è considerato più volte nel corso delle nostre riflessioni che il tutto ruota sul tema del rapporto debito/Pil. Abbiamo altresì preso atto che il numeratore di tale rapporto ha proceduto anche negli ultimi mesi secondo una curva incrementale; viceversa, il denominatore, anche per effetto della crisi finanziaria del 2008, è andato incontro a consistente, progressivo ridimensionamento. Abbiamo avuto modo di considerare, altresì, che le condizioni strutturali di tal medesimo rapporto si prospettano tali, nell’immediato futuro, da non far pensare ad una contrazione del debito secondo la curva decrementale definita dal fiscal compact.
A questo punto occorre al nostro Paese fare esercizio di recupero di tanta credibilità perduta negli anni passati .Deve fare ciò l’Italia per allontanare il dubbio da sé che quanto or ora considerato potrebbe essere la solita furbizia italica. Ovvero un escamotage finalizzato al tentativo di evitare l’osservanza delle prescrizioni comunitarie di cui trattasi. Deve fare tale esercizio di credibilità il nostro Paese proponendosi ai partners comunitari non col “volto delle armi”e con le ciance di Fregoli, ma ribadendo loro la ferma determinazione di volere percorrere tutte le strade possibili per puntare al realizzo del risanamento dei conti pubblici secondo i termini e i tempi possibili, tuttavia sempre avendo presente che l’ottemperanza delle prescrizioni comunitarie, nel medio-lungo tempo è questione ineludibile per il nostro Paese. Nel fare ciò le massime istituzioni pubbliche nazionali dovranno disvelare, finalmente e concretamente, un piano avente sicura attitudine a condurre i conti pubblici nazionali entro il limiti e i parametri stabiliti dalla Commissione per i Paesi comunitari, ancorché con modalità e con tempistica flessibili, definite, nel prosieguo del tempo, con le Istituzioni europee.
Nel fare tutto questo l’Italia dovrà essere assistita dalla consapevolezza di dover affrontare una partita dura e difficile con l’Europa, quanto indispensabile, però, per il suo ritorno a Paese effettivamente e concretamente portante dell’Europa e oltre l’Europa. Niente sbavature e funambolismi, dunque. Ma attenzione meditata e approfondita nello svolgimento di tutta tale partita. Un’attenzione sorretta da cultura e pratica di governo; da rispetto e credibilità tipici dell’ambito delle relazioni bilaterali e multilaterali; da fermezza nel voler continuare a far parte stabilmente l’Italia del contesto europeo.
E perché a partire da noi, da questa nostra sede, si esca dal vago, diciamo che la Commissione da tempo ha tracciato una sorta di mappa strategica per facilitare il coordinamento delle politiche di bilancio, economiche e monetarie tra i Paesi dell’Ue e tra questi e le Istituzioni comunitarie . I punti cardine di tale mappa strategica sono: la crescita e la competitività; la sostenibilità dei bilanci pubblici; il credito all’economia; l’efficacia e l’efficienza della pubblica amministrazione; l’occupazione.
Riteniamo che la partita della gestione dei vincoli e degli impegni se giocata con il rigore e l’impegno testé accennati, si possa utilmente giocare fra il nostro Paese e l’Unione europea. Però, ed ecco un altro però, nelle sedi debite. Fra queste vanno annoverate il Documento di economia e finanza (Def) e il Programma nazionale di riforma (Pnr). Entrambi tali documenti annuali, una volta approvati dal nostro Parlamento, passeranno all’esame delle istituzioni europee le quali entro il mese di giugno di ogni anno formuleranno pareri e valutazioni, non senza dare indicazioni, da traslare nelle legislazioni nazionali, in ordine alle politiche economiche e a quelle di bilancio.
Ecco, non pugni sul tavolo, né altro di inutilmente provocatorio potranno consentire di mettere ordine alle divergenze e alle difficoltà esistenti fra le Istituzioni europee e i Paesi membri . Ciò ch’è imprescindibile nel giocare detta partita è che ben si conoscano i campi su cui essa viene giocata e che da parte nostra li si prepari per tempo, affinché l’altra parte in campo, le Istituzioni europee, abbia ben chiaro che la partita si giocherà su un terreno senza insidie e alla luce del sole.
Dopo di che, a partita conclusa, le Istituzioni comunitarie europee saranno ben convinte di avere giocato una partita provvidenziale per il bene dell’Italia e parimente per quello dell’Ue. Nel contempo le medesime Istituzioni comunitarie non potranno che assumere contezza che l’inflessibilità nel tenere l’Italia sotto il giogo rigorista del mitico 3%, così come abbattere il proprio debito secondo tranche annue attualmente valutabili in un intorno di 70 miliardi di euro, a decrescere negli anni successivi, sarebbe equivalso a far morire il nostro paese. Il che, prima che assurdo, non è da mettere nemmeno nel novero delle cose di possibile accadimento.
Sul punto del mitico 3%, quale rapporto tra deficit e Pil, piace richiamare la reiterata domanda che continuano a porsi risorse dell’accademia economica del calibro di Alesina, Gavazzi e Salvati, se sia saggio e lungimirante sforare il testé detto mitico rapporto, oppure “tentare affannosamente di rispettarlo, quando tutto sembra indicare che non ce la faremo”
A questa domanda pensiamo sappiano meglio d’ogni altro come rispondere i tedeschi muniti di buona memoria. Nel 2013 la Germania esprimeva un disavanzo ben superiore la soglia del 3% sul Pil. Avrebbe dovuto porre in essere una manovra restrittiva di bilancio. Il che sarebbe stato un colpo devastante per le sorti della Germania, ove si consideri che a quell’epoca quel Paese versava in una fase di crescita negativa ed era sottoposto al gravoso peso di un piano di riforme finalizzato ad invertire la testé detta fase di decrescita.
In tale situazione il Governo tedesco domandò alle Istituzioni comunitarie un altro anno per il suo rientro entro il 3%. Dopo una lunga resistenza, la domanda tedesca veniva accolta per un solo voto di scarto.
Quella decisione scosse la solidità della Commissione e delle Istituzioni Ue. Successivamente, perfino la stessa Germania criticò la deroga concessale, addossando a responsabilità di Gerhard Schroder la responsabilità del tutto.
A distanza di anni da quell’evento, per altro reso possibile dal voto favorevole e determinante dell’Italia, all’epoca presidente di turno del semestre europeo, pare abbastanza anacronistico dividersi fra contrari o favorevoli a quella deroga data. Con il linguaggio del Maestro Paul Samuelson , precedentemente evocato in questa serie di nostre “riflessioni” pare si debba dire che quella deroga fu questione d’intelligenza, non di contrarietà alle regole dell’epoca. Una scelta “di fronte alla casa che brucia”. Sulla stessa lunghezza d’onda dell’Esimio dell’Università di Chicago, l’economista Lorenzo Bini Smaghi, già membro del Comitato esecutivo della Bce dal 2005 al 2011, precedentemente evocato in questa sede, nel suo libro “Morire d’austerità”, edito dal Mulino, giunge ad una valutazione oggettivamente e culturalmente ineccepibile, soprattutto di grande attinenza al caso italiano, dicendo che le regole conservano la loro importanza in ogni situazione, ma nelle fasi di crisi che vanno oltre normale aggiustamento ciclico, esse “vanno gestite anche in base alle circostanze specifiche, prevedendo la possibilità di deroghe e aggiustamenti graduali, con procedure speciali di monitoraggio”.
Ecco,soltanto per il viatico fin qui tracciato riteniamo recuperabile l’attitudine del nostro Paese ad essere concorrente di un’Eurozona quale isola di prosperità, piuttosto che di lento ma inesorabile declino.
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