di Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti
Dopo un lungo periodo di confusione ed incertezza create dal Governo sul piano fiscale, con il Decreto Salva Roma (D.L. n. 16/2014) vengono delineati alcuni importanti chiarimenti in merito alla nuova tassazione sulle casa, in particolar modo la TASI, la tassa sui servizi indivisibili offerti dai comuni.
Una tassa che, pur presentando ancora molti elementi da definire e da chiarire, si prospetta come una vera e propria stangata per le famiglie, molto simile all’IMU.
Anzi, per alcuni versi anche peggiore dell’IMU.
È quanto emerge da una recente ricerca della Federconsumatori, che ha analizzato l’impatto della nuova imposta nelle 105 città capoluogo in Italia.
Secondo le stime, per un appartamento di 100 metri quadri abitato da una famiglia di 3 persone, ipotizzando una detrazione di 100 Euro, la famiglia in questione, per la prima casa, potrà pagare mediamente da 231,71 Euro (nel caso si applicasse l’aliquota minima del 2,5 per mille), a 337,95 Euro (considerando l’aliquota massima del 3,3 per mille).
Un impatto molto oneroso per le famiglie. A maggior ragione se si pensa all’andamento dei principali indicatori economici, che riportano una situazione allarmante.
Infatti, la disoccupazione ha raggiunto i livelli più alti dal 1977. Famiglie e pensionati sono sempre più poveri: nel 2012, secondo l’Istat, ben il 29,9% dei residenti nel nostro Paese era a rischio povertà, il +1,7% rispetto al 2011. Tutto ciò comporta una inarrestabile discesa del potere di acquisto, specialmente per quanto riguarda le famiglie a reddito fisso (secondo le nostre stime tale riduzione ammonta ad oltre il -13,4% dal 2008) e quindi una continua contrazione dei consumi che, nel triennio 2012-2013-2014 (con una proiezione relativa all’anno in corso) potrebbe toccare quota -9,5%, pari complessivamente ad oltre 67,8 miliardi di Euro.
Persino i consumi alimentari sono statici. Dato particolarmente preoccupante, dal momento che la domanda relativa a tale settore, per definizione anelastica, è sempre l’ultima ad essere intaccata in una situazione di crisi.
Le condizioni di difficoltà in cui versano le famiglie sono, quindi, evidenti. Così come è evidente e palese che intaccare ulteriormente il potere di acquisto delle famiglie attraverso pesanti tassazioni è un’operazione deleteria per l’intera economia.
Alla luce di tale scenario appare ancora più cruciale la questione delle detrazioni.
Mentre per l’IMU, infatti, erano previste delle detrazioni sulla prima casa pari a 200 Euro, a cui si aggiungevano ulteriori 50 Euro per ogni figlio a carico di età inferiore a 26 anni, per la TASI spetterà ai comuni decidere aliquote e detrazioni.
I Comuni, in pratica, hanno la facoltà di finanziare le detrazioni innalzando le aliquote TASI dello 0,8 per mille. Anche se, dalle ultime notizie, emerge la bocciatura di un emendamento che chiedeva di allegare ai bilanci dei comuni “un documento che dimostrasse l’effettiva e integrale destinazione dello 0,8 aggiuntivo alle detrazioni”.
Si fa sempre più concreto, così, il rischio che i comuni intaschino il ricavato delle maggiorazioni senza destinarlo integralmente alle detrazioni a favore delle famiglie.
Si prospettano, in ogni caso, molti possibili scenari a seconda di quale sarà la linea di intervento dell’ente locale. Nella peggiore delle ipotesi questo può decidere di scaricare sulle prime case il peso dell’aumento dell’aliquota necessaria a finanziare le detrazioni (e solo quelle, ci auguriamo). Nella migliore, il comune virtuoso potrebbe decidere di non aumentare le aliquote e reperire le risorse per eque detrazioni in altra maniera, magari operando seri piani di tagli a sprechi e privilegi, oppure decidendo di circoscrivere la maggiorazione delle aliquote solo agli immobili con rendite catastali elevate.
Quel che è certo è che, nel definire importi e criteri delle detrazioni, i comuni dovranno tenere conto di alcuni aspetti imprescindibili.
Innanzitutto le detrazioni dovranno rispondere alle esigenze delle famiglie.
La priorità dovrà essere quella di tutelare i soggetti svantaggiati e meno abbienti (rendite catastali di basso valore, basso reddito ISEE, eventuale condizione di disoccupazione o cassa integrazione, famiglie numerose, famiglie con disabili, anziani ricoverati presso case di cura o altre strutture, ecc.).
In mancanza di detrazioni eque ed adeguate, infatti, il rischio è che circa 5 milioni di famiglie che in precedenza, grazie alle detrazioni per la prima casa non pagavano alcun importo per l’IMU, ora si troveranno a pagare la TASI. Si colpisce in tal modo il potere di acquisto di un’ampia fascia di famiglie meno abbienti, che vivono in case con basse rendite catastali, specialmente nelle aree periferiche dei centri urbani.
Non è questa l’unica criticità che si nasconde dietro alla nuova imposta sui servizi indivisibili: un altro importante problema riguarda gli inquilini.
Questi ultimi si troveranno a pagare, a seconda delle decisioni delle diverse amministrazioni comunali, una quota della TASI, dal 10 al 30%.
Anche in questo caso ci auguriamo, visto l’alto grado di morosità segno della difficoltà degli inquilini, che i comuni applichino la quota minima, se non la totale esenzione laddove la rendita catastale risulta bassa.
Altro importante aspetto, infine, riguarda i criteri ed i controlli sulla misura e sui soggetti beneficiari delle detrazioni definite dai comuni.
Questi dovranno essere rigidissimi: non vorremmo che, come spesso accade, gli evasori finissero per godere di ampie agevolazioni ed a pagare per intero fossero sempre le “solite” famiglie a reddito fisso.
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